È vero, non si può generalizzare, specialmente quando un’opinione si forma tramite piccoli indizi o quasi soltanto delle sensazioni. Così come non si può cogliere a paradigma di una situazione comune la propria piccola esperienza poco significativa.
Ma il mondo sta cambiando velocemente, troppo velocemente, questo lo sanno tutti, e tale velocità sta travolgendo come un uragano i tradizionali percorsi di trasmissione del sapere.
Abbiamo letto, per esempio, la notizia recente secondo cui la colta e felice Finlandia ha trasformato l’insegnamento della scrittura a mano – con la penna, per capirci – che era tradizionalmente previsto per i bambini in età scolare, da materia obbligatoria a materia opzionale. I bambini impareranno d’ora in poi obbligatoriamente e fin dall’inizio solo la scrittura liquida, cioè quella attraverso la tastiera del computer o lo schermo del tablet.
La penna, strumento istituzionale e secolare dell’educazione scolastica, si può lasciare a casa.
Analogamente alla penna, insomma, molti segnali suscitano in noi una serie di riflessioni che riguardano un altro istituto centrale dell’insegnamento scolastico e universitario, vale a dire un modello finora inattaccabile della formazione, cioè la lezione dell’insegnante.
Spesso, quando un fenomeno sta giungendo al termine, mostra un’instabilità caratteristica, quasi un parossismo contraddittorio e incomprensibile, una sorta di frenesia ante mortem che prelude inesorabilmente alla fine. In questi momenti troppo e niente convivono nello stesso sistema e si alternano incessantemente creando una dinamica quasi convulsiva. È questo lo stato in cui sembra di scorgere la benemerita lezione frontale, o almeno tutto quanto la caratterizza e la definisce nelle istituzioni di formazione: condizione che lascia intravedere un prossimo inevitabile trapasso.
Ci riferiamo all’istruzione superiore, cioè a quel percorso che, grosso modo, si intraprende a partire dal terzo liceo e prosegue poi durante gli anni di università. Se nelle precedenti età di studio la lezione frontale sembra avere ancora un senso, per il periodo formativo di cui ci occupiamo notiamo una progressiva perdita di significato, accompagnata da segnali estremi o, se non altro, del tutto contraddittori.
L’uso della stessa locuzione lezione frontale, che è piuttosto recente, è per se stesso un paradosso. Può mica esistere una lezione fatta da tergo? Una lezione dorsale? Allora che senso ha precisare che la lezione è frontale? Questa precisazione è l’esplicita dichiarazione di una debolezza, della possibilità di un’alternativa, di una lezione che non è più una lezione.
Per recuperare alla memoria quello che è o dovrebbe essere una lezione, diremo che è un luogo e un tempo di incontro formalizzato in cui una o più persone che ne sanno di più e hanno accumulato più esperienza introducono un uditorio meno sapiente e comunemente più giovane ad argomenti nuovi, accompagnandolo progressivamente all’acquisizione di nozioni più complesse o a cogliere aspetti inattesi di nozioni già conosciute. In quest’evento, una speciale empatia tra gli attori, nonché la loro interazione, sono parte essenziale: la riflessione, un riferimento, la richiesta di chiarimento, una domanda profonda, la battuta sagace da parte del docente o dell’uditorio sono il sale che cambia una semplice conferenza in una lezione.
Non c’è tempo, non c’è tempo…
Negli ultimi anni di liceo sembra che le cose non stiano (più) così. Abbiamo esperienza molto vicina di docenti sempre più numerosi che a scuola non fanno una lezione vera e propria, non dedicano più la maggior parte del loro lavoro a illustrare gli argomenti agli studenti, a guidarli nella loro acquisizione di concetti sempre più alti. Certo, spiegare costa fatica, bisogna essere competenti e anche molto generosi, poiché la trasmissione del sapere è tutt’altro che una cosa da poco. Ma è un fatto provato che ci sia una schiera di docenti non fa più lezione e si limita ad assegnare agli studenti pagine da studiare, testi da analizzare, esercizi da svolgere in vista dell’unico traguardo concepibile: la verifica, orale o scritta che sia. Tanto, oggi, «i ragazzi hanno una grande quantità di risorse a cui rivolgersi: la rete innanzitutto, dove possono trovare tutto quello di cui hanno bisogno».
Uno dei motivi che vengono addotti per questo comportamento (dis?)educativo è che non si dispone di tempo sufficiente, poiché si è oppressi dall’ampiezza del programma da completare e dalla necessità di avere «almeno due voti per ogni studente». Le classi sempre più numerose e il controllo troppo burocratico dell’attività formativa hanno certamente il loro peso, ma la pura disaffezione verso la lezione frontale è palpabile.
Di contro gli studenti non comprendono più perché debbano restare sempre lì seduti ad aspettare. Aspettare che cosa? Che il professore riveli l’arcano? Quale arcano? Meglio il cellulare…
Gli studenti, allora, avrebbero molto altro da fare e non hanno difficoltà a rimanere a casa, assenti alle lezioni, per prepararsi alla prossima verifica: «Domani abbiamo un test a risposta aperta su quaranta pagine di cui non abbiamo mai parlato a scuola. Posso rimanere a casa a studiare?».
Certo, un vero paradosso.
Lezioni, lezioni, sempre più lezioni
Negli ultimi quindici anni l’università italiana ha subito il parossismo del calcolo dei crediti e della domanda di ore di lezione frontale. Si è verificata una richiesta esorbitante di lezioni differenziate, molto specializzate e poco fondamentali, lezioni e lezioni oblate in sacrificio sull’altare dell’offerta formativa.
In una strana competizione esasperata, ogni corso di laurea ha tentato di raggiungere una più diversa e allettante offerta formativa, richiedendo ai docenti sempre più corsi, tutti diversi, e un numero sempre maggiore di lezioni frontali. Il tutto mentre al contempo diminuiva considerevolmente la quantità dei professori disponibili, a causa del mancato reintegro dei docenti in congedo, e gli studenti continuavano a frequentare sempre meno, accontentandosi di studiare a casa, da soli.
Sono d’accordo che ciò non vale dappertutto e per qualsiasi insegnamento: esistono ancora corsi disgraziatamente affollatissimi. Ma spesso proprio queste lezioni non sono tenute dal titolare della materia, cioè il professore – il quale ormai non riesce davvero più a «insegnare a una marmaglia di studenti sempre più ignoranti» –, ma da una pletora di collaboratori che «pur dovranno far qualcosa per guadagnarsi la speranza di un ruolo da Professore!»
Quando frequentavo il liceo, un mio insegnante, saggio quanto burlone, ripeteva sempre che secondo lui la scuola e l’università italiane dovevano essere immediatamente chiuse del tutto da un decreto del Presidente, per almeno cinque anni interi. Dopo questo lungo digiuno e penitenza, le porte si sarebbero potute riaprire, ma in massima prudenza.
Oggi ho iniziato il mio secondo semestre di insegnamento di questo anno accademico. Nei giorni scorsi avevo informato per tempo gli studenti dell’inizio delle lezioni tramite il sito dell’Ateneo, avevo preparato la mia lezione al meglio, spero, dotandola di un’apposita presentazione al computer da proiettare agli allievi e di una serie di letture commentate di fonti metodologiche.
Oggi, all’orario stabilito, mi sono presentato puntuale in aula.
Ho atteso qualche minuto, quindi il tradizionale quarto d’ora accademico, una mezz’ora, un’ora, ma, alla fine, la mia lezione frontale è andata deserta, desolatamente.
Ma ora a scuola si insegnerà a giocare a scacchi (meglio di tante altre follie)… Coraggio, ragazzo!
Semplifico per comodità: non credo che la “lezione frontale” scomparirà completamente; credo sia uno degli impulsi primari antropologicamente fondanti il fronteggiarsi di maestri/allievi, anziani/giovani, esperti/apprendisti, genitori/figli… in una relazione dialettica asimmetrica indispensabile.
Credo però che le variabili in gioco siano fluide oggi più che mai e complichino, trasformino periodicamente, transitoriamente il meccanismo, ad es. :
tecnologie non solo coadiuvanti ma anche (soprattutto ?) concorrenti; incertezze di docenti spesso incapaci di gestire l’asimmetria e dunque alla ricerca di una relazione “alla pari” con gli studenti (gli adolescenti hanno antenne sottili e stanano subito queste debolezze, con buona pace dell’autorevolezza del docente); incertezze spesso dovute ad una preparazione approssimativa, non curata più una volta raggiunta l’agognata “cattedra” et alia…
Se questi elementi sembrano presenti quasi esclusivamente a livello di scuola secondaria, la didattica universitaria non sembra l’ambiente più adatto a lamentare la fine della lezione frontale. A fronte di rari ed eccellenti esempi di lezioni che accendono la curiositas degli studenti, che ne gratificano l’intelligenza senza umiliarne l’appartenenza ad una fase di formazione e dunque di conoscenza imperfetta, ci sono centinaia di esempi raccapriccianti di “lezioni” in cui l’asimmetria è voragine o trincea di difesa o esercizio di potere, l’umiliazione dello studente palpabile, l’approssimazione del docente e la sua trascuratezza evidenti. Quanto è veramente importante per un docente universitario la didattica?
…
Consiglio la lettura di “L’ora di lezione”, di Massimo Recalcati; sottotitolo “Per un’erotica dell’insegnamento”. Una bella sfida.
AP