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Ettore Petrolini e Pino DanieleNon ricordo più dove ho letto che il motivo per cui Ettore Petrolini, nella sua celeberrima Tanto pe’ canta’, dice «perché me sento un friccico nel core … perché ner petto me ce naschi un fiore … », non sia poiché penasse per un amore contrastato, come suggerisce la canzone, ma perché effettivamente soffriva di angina pectoris. Questo male toccò tutta la sua vita artistica, rendendolo tipicamente ironico e scanzonato, capace di una visione della vita disillusa e trepidante, fino a provocarne la scomparsa nel 1936. Non so se ciò risponda a verità, poiché il testo della canzone fu scritto da un’altra persona, Alberto Simeoni, magari in stretto contatto con lo stesso Petrolini. Tuttavia, se anche non fosse vero, è curioso pensarla così.

È singolare, infatti, che una reale patologia cardiaca diventi la metafora di uno stato di inquietudine poetica dovuto alle pene d’amore o alla fragilità di questa nostra vita terrena. Anche se in tutta la cultura occidentale il cuore è da sempre simbolo della vita e dell’amore, per un evidente valore funzionale e per un’irrinunciabile rima italiana, poca attenzione si è posta a quanto un cuore sofferente e malandato possa essere di stimolo all’espressione artistica.

Recentemente, la scomparsa di Pino Daniele e il successivo ascolto delle sue canzoni, tutte insieme, per l’omaggio a un pezzo di nostra meglio gioventù che se ne andava con lui, ha fatto trasparire anche nella produzione dell’artista partenopeo una serie di riferimenti che, se letti alla luce del suo stato di salute, acquistano nuovo significato.
Eccone alcuni:
• «Appocundria me scoppia ogne minuto ‘mpietto», Appocundria (1980)
• «allora spogliami da questo dolore, amore, staccami un pezzo di cuore», For your love (1991)
• «Eh… che vita seria è questa qua, se ti strappano il cuore, se ti vendono parole», Un angolo di cielo (1995)
• «… se chiudo gli occhi, mi scoppia il cuore», Resta cu’ mme (1995)
• «Non mi fido del mio cuore, perché so già che soffrirò», Dubbi non ho (1997)
• «Anem’e core, anem’e core, it’s gonna be all right», Anem’e core (2008)
• «chissà se il cuore ora mente, chissà se libera la gente», L’ironia di sempre (2008)

Certo, la critica non concede sufficiente attenzione a quanto il corpo e le malattie possano forgiare fin nel profondo la poetica di un artista, pittore, poeta o musicista che sia. Tuttavia, il mal di cuore appare uno stato particolarmente proficuo per l’espressione artistica, poiché costringe ad affinare il proprio sentimento, accentua il senso di precarietà dell’esistenza, fa vivere costantemente nell’ascolto della propria interiorità e nell’attesa sensibile del momento successivo, del battito che viene.
Una sorta di cardiopatia poetica che potrebbe essere un’ulteriore chiave di lettura per interpretare in luce inedita molta poesia, musica e arte figurativa.