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Tre filmUn lungo volo intercontinentale mi ha costretto ore e ore seduto nell’angustia della classe economica. Per dimenticare il disagio delle membra cigolanti e accartocciate, il bouquet offerto dalla compagnia, fra un pasto e l’altro, conteneva anche alcuni film, da vedere in privato su un piccolo schermo davanti a me.
Almeno in parte, ho dunque colmato in poche ore quella lacuna che la vita m’impone: di rendere sempre più rara la visione di un film sulla comoda poltrona d’un cinema vero. Nel torpore del viaggio interminabile, ho scelto di guardare tre film recenti, rigorosamente in lingua inglese: La migliore offerta (2013) di Giuseppe Tornatore, Monuments men (2014) di George Clooney e Storia di una ladra di libri (The Book Thief, 2103) di Brian Percival.

Le storie sono, ognuna a suo modo, accattivanti, anche se, dal punto di vista prettamente cinematografico, il film che più mi è piaciuto è proprio La migliore offerta di Tornatore: migliore nella capacità di sorprendere e di rivelare lentamente e inesorabilmente, attraverso i dettagli, gli elementi nascosti e essenziali della narrazione. Ma non è di questo che vorrei parlare.

Infatti, ciò che più mi ha stupito è il fatto che tre film recenti, provenienti da ambienti culturali diversi, siano tutti intenti a raccontare un unico tema: quanto sia faticoso, dispendioso e anche rischioso far propri e custodire gli oggetti della cultura e dell’arte e quanto invece sia facile, doloroso e, in un certo senso, insopportabile perderli irrimediabilmente. In tutte le pellicole era esplicito il significato analogo e ambiguo del termine bene, se applicato a un oggetto d’arte o a un affetto personale che si vuol conservare, proteggere e che, se si perde, provoca una sofferenza senza pari. Il grande tema umano del possesso della bellezza appare in questi film con tutta la sua forza e drammaticità.

Mi chiedo allora come mai, nel giro di un paio d’anni, il cinema abbia prodotto tre storie così simili. Probabilmente il nostro mondo occidentale sente oggi la nostalgia di una cultura che appare lontana, in molti casi incomprensibile, di cui però sente il bisogno e che sogna di recuperare, preservare e tramandare. Eppure questo valore è proprio lì, a nostra portata, nel museo, nella biblioteca, nel centro storico della nostra città, ma, curiosamente, si preferisce raccontarne la mancanza, piuttosto che fruirne l’estrema abbondanza, il compiacimento nel desiderio, piuttosto che l’appagamento con poca fatica.
Nel nostro distratto modo di essere, sembriamo quasi affetti da una strana forma d’anoressia culturale.