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Il ritratto di Duke Ellington è tratto da artsjournal.com, mentre quello di Arturo Benedetti Michelangeli è di Riccardo Chicco.

Il ritratto di Duke Ellington è tratto da artsjournal.com, mentre quello di Arturo Benedetti Michelangeli è di Riccardo Chicco.

Chi si trovi in questi giorni a frequentare la Biblioteca Nazionale Centale di Roma avrà l’occasione di visitare una piccola mostra dedicata ad Arturo Benedetti Michelangeli. Si possono leggere articoli d’epoca, testimonianze di allievi e critici, si possono vedere foto d’archivio, le pagelle degli esami di Conservatorio e ascoltare alcune esecuzioni.
Scorrendo i pannelli della mostra, mi ha colpito trovare una frase attibuita testualmente al grande pianista italiano: «Non ci sono che due modi di suonare: bene o male».
Sul momento mi è tornata in mente un’altra citazione celebre, questa volta di Duke Ellington: «There are two kinds of music, the good kind and the other kind.»
Se si cerca in rete, frasi analoghe vengono attribuite anche a Gioachino Rossini, Johann Strauss, Jimi Hendrix e molti altri musicisti.
Difficile recuperare la matrice di queste opinioni apodittiche e un po’ banali nella loro semplicità, attribuite a chicchessia, alla bisogna. Questo modo di concepire l’arte è divenuto anche un topos,
se consideriamo, per esempio, l’espressione di Oscar Wilde nel Preface del suo The Picture of Dorian Gray a proposito dei libri: «Books are well written, or badly written. That’s all.»
Nel caso dei musicisti – ma ciò vale anche per tutti gli altri artisti – è quasi sempre sottinteso che la musica di valore sia fondamentalmente la propria e gran parte di tutto il resto sia da scartare. D’altronde, stabilire e definire a parole che cosa sia la musica eccellente e che cosa invece la musica scadente, oppure trovare il modo per descrivere che cosa significhi suonare bene o male, è questione estetica precaria e impresa utopica che ha già riempito pagine e pagine per secoli e secoli.
Certo, in questo modo si elimina ogni separazione tra generi, stili e culture musicali, richiamando un principio di universalità: esiste una e una sola musica che accetta esclusivamente di essere distinta in musica bella e musica brutta. Si tratta di un concetto – quello della musica come linguaggio universale – molto controverso e contestato, per esempio, dall’antropologia musicale.
È singolare, inoltre, che si cerchi di zittire ogni discussione con il richiamo a una ripartizione binaria e essenziale: quella tra il bene e il male. Non si fa riferimento a nessun parametro legato al gusto personale, perché opinabile e debole, ma a una convinzione assoluta di natura tecnica e anche, a suo modo, morale. Si fa affidamento esclusivamente sulla nostra esperienza della bellezza, la quale fa conoscere a chiunque il bello vero, inconfondibile, esaltante, irriducibile e inesprimibile a parole: un bello che divide e non ha mezze misure.
Questo è pur sempre un momento innegabile della vita di ognuno, un attimo che tutti possono ricordare. Ma siamo nel campo dell’esperienza che – così ci insegnano i filosofi – ha un rapporto vago e enigmatico con la verità.

È meglio ammetterlo, comunque: quasi tutta la musica che si sente in giro non è né bella, né brutta, ma piuttosto… così così. Dunque, è musica o no?