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Ho iniziato a utilizzare la rete intorno al 1990, quando in Italia erano pochi coloro i quali sapevano appena cosa fosse una email. Negli anni mi sono convinto sempre di più che la rete non sia affatto democratica, ma piuttosto populista, soltanto populista.

1. Prendiamo ad esempio questo stesso messaggio che sto pubblicando sul mio blog (ma analoga situazione accade per tutti i blog esistenti). La decisione di rendere pubbliche queste mie opinioni è solo mia, mia certamente è la responsabilità di ciò che dico, ma la visibilità del mio pensiero è globale e senza filtri, senza vaglio da parte di alcuna redazione, nessun censore, insomma: mi alzo la mattina e faccio leggere a tutti quello che mi pare.
Questa può sembrare democrazia, ma non è così. Per innumerevoli che potranno voteessere i commenti a questo mio post – dubito che saranno moltissimi – la mia opinione rimarrà visibile per prima, con una grafica migliore, sembrerà essere la voce di un maître à penser che chiunque può andare a leggere. Ma l’etichetta di maestro me la appiccico da solo e, anche nel mio caso, potrebbe essere una vera patacca.
Con un buon marketing, con l’azione sui motori di ricerca e con l’aiuto dei social network, non è molto difficile trovare dei seguaci, qualcuno che ti legga e dichiari: mi piace! In questo caso il riconoscimento del ruolo di leader può certamente dipendere da altri fattori rispetto al valore delle idee che metto sul piatto.
Ritengo che non basti il sostegno di molti mi piace per fare un vero maestro, un vero statista, qualcuno che si metta più in alto degli altri per risolvere i problemi di tutta la comunità.

2. Per quanto ci si possa illudere, la rete non è l’aria e neanche l’acqua o la terra. Non è vero che c’è e basta.
Per entrare nella rete devi avere almeno degli strumenti tecnologici, uno o più fornitori di servizi (accesso, gestione delle procedure di pubblicazione ecc.), una competenza di base notevole. Ricordo mio padre che, nonostante fosse laureato e avesse lavorato da sempre nella pubblica amministrazione, quando era già in pensione un giorno mi chiese: «Ma mi spieghi che cos’è Internet? Che cosa vuol dire navigare? Posso provare anch’io?» Cercai di spiegargli, ma eravamo entrambi a disagio.
La rete esclude una quantità enorme di persone dalla partecipazione effettiva e attiva: non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli che si dicono sviluppati il digital divide è enorme. Si tratta di un dato già conosciuto per il quale spesso si parla di oligarchia digitale.
Due esempi di esclusione. Per quanto possa sembrare assurdo, quest’anno, all’inizio delle lezioni in Università, quando ho chiesto agli studenti la loro email per poter comunicare le informazioni sul corso, ancora un buon 25% non è stato in grado di darmi un indirizzo valido. Quando poi ho insistito, alla fine me lo hanno fornito tutti, ma molti non hanno mai partecipato direttamente alle comunicazioni: in pratica è come se non esistessero sulla rete.
Secondo esempio: quest’anno l’obbligo delle iscrizioni online per la scuola ha creato alle famiglie moltissimi disagi, soprattutto al Sud. In un gran numero di casi i genitori non sono riusciti iscrivere da soli i propri figli, ma sono dovuti ricorrere a vari tipi di assistenza esterna. Guarda caso, l’obbligo dell’iscrizione online è previsto per le scuole statali e non per le private.

E poi c’è l’argomento fornitori (provider). Che democrazia è quella che dipende in modo cruciale dalla fornitura di un servizio tecnologico da parte di uno o più soggetti privati e senza obblighi istituzionali, i quali hanno con me soltanto un rapporto commerciale?
Il vero potere è lì, tra quelli che ci elargiscono il canale attraverso il quale ci illudiamo di poter esprimere le nostre opinioni e farci sentire dal mondo.
Personalmente, mi sentirei a disagio ad andare a votare in un supermercato o in un grande centro commerciale, sperando che la multinazionale che gestisce l’esercizio mi consenta di esprimere un consenso, magari a fronte dell’acquisto di una bibita gassata. Per il fornitore, è del tutto insignificante quale possa essere l’opinione che esprimo: per lui è essenziale che io scelga di esprimerla attraverso il canale che lui solo mette a disposizione.
Eppure la rete è in grado di farmi credere che lì dentro tutto sia più libero e spontaneo, mi illude di avere il potere di dire la mia e farla sapere a tutti. Su questo nostro bisogno ancestrale, al quale non mi sottraggo, il sistema della fornitura di servizi tecnologici ha fondato la propria sussistenza, affermando solo se stesso e mettendo del tutto in secondo piano il valore delle nostre idee, delle nostre scelte di politica e di vita. Ciò che vale veramente è il Potere del canale.

Alla chiusura di questa tornata elettorale in cui la presunta rivoluzione democratica della rete ha avuto un ruolo dominante, la mia visione è piuttosto apocalittica che integrata.
Un invito alla lettura: Umberto Galimberti, Psiche e Techne. L’uomo nell’età della tecnica, 1999 (e successive edizioni).