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Come ogni docente dell’era moderna, anche io ogni anno accolgo durante le lezioni il funzionario d’Ateneo che somministra agli studenti – si dice così! – un agrodolce questionario anonimo di valutazione del Corso e dell’insegnamento. Non sono propenso a pensare che gli studenti rispondano per piaggeria, per compiacere il docente che stanno seguendo. Anzi, credo che gli studenti siano persone intelligenti, che sanno scegliere e che al momento opportuno sappiano valutare molto bene.
Proprio ieri ho avuto conto dei miei risultati riguardanti l’anno scorso: una vera apoteosi, con punte del 100% quanto a gradimento della puntualità, della disponibilità, della chiarezza di esposizione ecc. ecc. Un risultato, certo, di cui vantarsi davvero, come quando si supera brillantemente un esame e subito si telefona alla mamma, alla fidanzata, a tutti!

Ma per rinfrancar lo spirito, ogni buona sauna si completa con una doccia freddissima.
Oggi appello d’esame, di una materia, la mia, che sembrerebbe piacevole e gradita da un pubblico giovane: Storia della musica.
Si erano prenotati on-line ben ventotto studenti e io ero pronto a una dura giornata di lavoro: gli esami sono difficili, molto, anche per un professore.
Quando mi presento all’appuntamento con l’elenco in mano, stranamente non vedo grande folla. Provo a chiedere conto ai pochi studenti che attendono nel corridoio e soltanto due rispondono all’appello: soltanto in due!
Non avevo mai vissuto una defezione di tale portata e rimango sorpreso e perplesso. Dove sono gli altri candidati? Non so… chissà? Semplicemente, si erano iscritti e non si sono presentati all’esame. Magra constatazione.
Dunque, invito i due superstiti ad accomodarsi per l’esame: «Voi siete del secondo anno, quindi portate il programma dell’anno scorso: L’orecchio intelligente di Mario Baroni e il saggio su Mozart di Massimo Mila…».Studente
Sbiancano entrambi: «Ma io credevo che ci fosse da studiare solo…», «I colleghi di Corso mi avevano detto che c’era da leggere soltanto…»
Che dire? Di ventotto iscritti, solo due si presentano e sono entrambi mezzi pronti!
Inizio a spiegare loro che non possono certo pensare di sostenere l’esame avendo preparato soltanto metà del programma di studio previsto. Per quanto mi riguarda, ho pubblicato la bibliografia completa sul sito del Corso di Laurea fin dal maggio 2011 e ho svolto lo scorso anno tutte le lezioni; per parte loro, non dovrebbero fidarsi del sentito dire di altri studenti, ma avrebbero dovuto controllare sul sito del Corso, su fonti ufficiali e attendibili.
«Vedi, le fonti attendibili…» mormora uno di loro, ricordando certamente qualche recente lezione di Storia. «Ecco, sono sempre gli studenti a essere danneggiati! Ho impiegato un mese per preparare questo esame, e adesso?»
Mi metto all’opera e stampo per loro il programma completo dell’esame dal sito del Corso, gli schemi delle lezioni che avevo preparato per quella parte di programma, la partitura del Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 di Wolfgang Amadeus Mozart KV 488 che avevamo ascoltato e commentato nel dettaglio a lezione – non è bellissimo? E lo struggente secondo movimento… E l’energico terzo movimento... –.
«E adesso, quando potremo fare l’esame?»
«Al prossimo appello di marzo. Coraggio, intanto avete studiato uno dei testi, avete più o meno un mese per ripassare e studiare l’altra parte del programma».
«Veramente io, professore, non posso essere presente quel giorno, perché devo andare via. Non si potrebbe, non so… una volta che lei ha ricevimento… in un altro giorno…»

Non è la prima volta che mi capita di incontrare studenti che chiedono di sostenere l’esame nel giorno loro preferito, rispetto ai loro propri impegni personali. Anche questa mi sembra una tendenza in rapida crescita.
Ricordo i miei tempi di studente, alla Sapienza, quando, una volta che ti eri iscritto all’appello su un lunghissimo elenco manoscritto che pendeva alla porta dello studio del professore, ti presentavi all’esame e non sapevi quasi mai quando l’avresti davvero sostenuto, poiché solo in tarda mattinata arrivavano le liste suddivise per quel giorno e tutti i successivi. Così, per molti esami dovevi mettere in conto almeno una settimana: se ti sentivi già pronto, era un calvario attendere il giorno esatto, se invece era meglio ripassare, potevi godere di qualche giorno di studio in più. Figuriamoci se mai si poteva accennare: «Io quel giorno non posso… non si potrebbe, non so… in un altro giorno… Io pensavo… io credevo…»

Ripetere giova, ma che fatica! «Ascoltate: anche riuscire a rispettare le scadenze e arrivare pronti per una data specifica, come fanno gli atleti per una gara sportiva, è motivo di crescita personale e civile.»
«Va bene. Allora, arrivederci, professore…»
«Ci vediamo presto. Alla prossima, ragazzi. Studiate!»

In conclusione, le lezioni sono state seguite da persone che hanno apprezzato gli argomenti e lo stile dell’insegnamento, ma poi al momento di studiare…
Di nuovo trovo conferma alla mia convinzione: gli studenti non studiano più. Non provano alcun piacere a farlo e quindi non lo fanno: non c’è alcun dubbio.

Ma se gli studenti non studiano, una domanda mi cruccia un po’: chi sono… chi sono gli studenti?
Poi mi chiedo, ancora più crucciato: e io, il professore, chi sono?