Ricevo dall’amico Antonio e volentieri pubblico questa scintilla.
Caro Acciarino,
il mondo è sempre più complicato…. ma questo già lo sapevamo. Leggo su “La Repubblica” del 21 novembre 2012 che la vedova del Maestro Bruno Martino, autore delle musiche del film di Paolo Franchi E la chiamano estate (premio per la miglior regìa e per la migliore attrice alla recente Mostra del Cinema di Roma) intende inibire la proiezione e la distribuzione del film nelle sale perché alcune immagini sessualmente esplicite della pellicola – accostate alle musiche del Maestro – sarebbero “lesive del patrimonio morale, culturale e artistico del musicista”. Solo due brevissime considerazioni, tra il serio e il facèto:
1) Immagino un lontano discendente di Beethoven – magari bassista hard-metal in un gruppo di Bonn o di Vienna – che chiede il sequestro di Arancia meccanica di Stanley Kubrick, lesivo dell’immagine dell’avo, le cui immortali sinfonie sono accostate alle notissime e reiterate scene di violenza della pellicola. Restando seri, appare davvero geniale l’accostamento del più classico “sublime musicale” alla violenza più bassa e gratuita. Ma che Kubrick era un genio è cosa risaputa.
2) Nell’epoca della riproducibilità infinita dell’opera d’arte, nell’èra della contaminazione di stili, linguaggi, tecniche, nella continua citazione e contraffattura di opere “altre” come elemento precipuo dell’arte del Novecento (Wharol su tutti), ha ancora senso – all’interno di un’arte cooperativa come quella cinematografica – segmentare i ruoli e l’apporto dei vari elementi che concorrono al risultato finale? E la musicologia cosa ha da dire al riguardo? Arancia meccanica sarebbe un’opera “altra” con una elegiaca ed eterea Sarabanda per clavicembalo di François Couperin?
Di certo il ruolo del Diritto d’autore va oltre la semplice remunerazione economica dell’artista, anche se si pensa comunemente che questo sia il motivo centrale. Tuttavia, sono d’accordo che oggi non abbia più molto senso tutelare il ‘patrimonio morale, culturale e artistico’ di un artista. Forse in tribunale si potrebbe anche spuntarla con una sentenza a favore che porterebbe un congruo risarcimento economico, ma nella realtà oggi qualsiasi informazione resa pubblica non è più minimamente controllabile. Figuriamoci poi all’interno della rete telematica, come accade anche con i dati sensibili che seminiamo quotidianamente in rete.
Sappiamo tutti che ogni informazione (dato sensibile, immagine, opera musicale, filmica ecc.) è suscettibile di un riuso appropriato o inappropriato, secondo vari punti di vista, particolari momenti storici o personali, contingenze diverse. Ma ritengo sia del tutto impossibile impedire questo riuso, poiché nel momento in cui diviene pubblica, ogni informazione diviene materiale disponibile per una rielaborazione. E la musicologia cosa può fare? Niente, soltanto prendere atto di tutte le elaborazioni e analizzarle, cercare di comprenderle, giudicarle anche dal punto di vista estetico.
Questo vuol dire che non ha più senso adottare il Diritto d’autore tout court? In pratica è proprio così: aboliamo dunque il Diritto d’autore! Resta il problema economico, soprattutto per quel che riguarda la remunerazione degli artisti che altrimenti non sarebbero in grado di proseguire la propria attività.
Recentemente un collega statunitense mi ha parlato del caso della propria compagna che è una poetessa e pubblica regolarmente e liberamente le proprie poesie on-line. Gli ho chiesto: «Ma come fa a guadagnare quello che le serve per proseguire la sua attività?» Mi ha risposto: «Sono così poche le persone che impiegano i propri soldi per comprare libri di poesia che, considerando le spese e i guadagni che si riservano gli editori, vale la pena distribuire i propri testi gratuitamente e poi magari realizzare una rete di contatti che portino a letture pubbliche, conferenze, rielaborazioni (musicali, visuali). In questo modo si raggiunge una discreta mole di guadagni che consentono di proseguire.»
Dunque la performance, l’uso indiretto di un’opera, la sua rielaborazione ha preso il posto del Diritto d’autore. Penso però che in questo mondo sempre più complicato, nel caso dell’arte risorgerà presto prepotente la figura del committente e del mecenate.
Caro Acciarino,
grazie innanzi tutto per la risposta e per le idee sul diritto d’autore al tempo (e allo spazio…) della rete.
Nella mia scintilla volevo tra l’altro segnalare il problema dell'”accostamento” di opere nate autonomamente e utilizzate poi come “elemento”, “parte” o “sfondo” di una nuova opera, che le usa/ingloba/cita (problema davvero vecchio ed annoso proprio per la musicologia, perché la “musica basata su altra musica” possiede una tradizione davvero remota e forse anteriore a quanto successo per altre manifestazioni artistiche: ci si muove tra la citazione anche involontaria di frammenti altrui fino alla parodia e alla cosiddetta arte allusiva, sempre consapevole e volontaria). Per questo immaginavo il risentimento del discendente beethoveniano per l’accostamento dell’equilibrio della forma-sonata alla violenza de-forme e gratuita di Arancia meccanica.
Penso che una canzone palesemente “démodé” e vecchia oramai di cinquant’anni -inserita come colonna sonora un film di oggi – non possa in alcun modo intaccare il “patrimonio morale culturale e artistico” del suo primitivo autore.
Qualunque spettatore coglie la valenza culturale di tale accostamento, e scinde nell’unità dell’opera che vede le creazioni antecedenti e la loro funzione all’interno del tutto. Altrimenti, paradosso per paradosso, anche l’architetto Ieoh Ming Pei e gli eredi di Leonardo dovrebbero opporsi ai terribili misfatti perpetrati sotto la piramide di cristallo del Museo del Louvre e davanti alla Gioconda nel celebre film Il codice da Vinci. E i sindaci di New York, Venezia, Roma, Londra e Barcellona potrebbero dichiarare che i valori artistici e morali delle rispettive città siano stati malamente colti dai più recenti film di Woody Allen (il che forse è anche vero), nei quali le città stesse sono “attrici protagoniste” delle pellicole.